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Le labbra secche si sollevano per parlare di gocce di pioggia
le sento in lontananza,
la lingua separa con fatica parole dolorose
rimaste chiuse dentro un forziere arrugginito,
la chiave spezzata all'interno,
nella speranza che nessuno le trovasse.
Dove vagheranno i nostri pensieri,
divenuti a volte nemici, a volte stranieri,
che sapevano ascoltarsi a mille miglia,
lontani senza essere deformi,
quali rami dovremo tagliare
per far si che l'arbusto possa sopravvivere?
Con quante gocce di pioggia salata abbiamo già tentato di curarlo,
salvandolo, spostandolo e trovandogli un posto
sempre più lontano dalla sua posizione preferita
e via via, giù, sempre più lontano,
un solo lucernario a regalargli la luce giusta per la sopravvivenza...
ma non morirà, non può morire,
non sarebbe successo altrimenti.
Oltre la nebbia scorgo figure, mi accorgo che son specchi
inseguendo le ombre mi sono smarrito,
inseguendo me stesso mi sono smarrito,
trovando solo l'eco di quello che sono.
Pietre divelte dal selciato
dietro di me infrangono il presente,
le schegge di un puzzle taglienti mi ledono le impronte,
solchi profondi ho lasciato per te,
ma tu... non sei uno specchio.
D. - 25 aprile 2009
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